Ho appena preso le forbici. Le ho posate sul tavolo, qui al
mio fianco. Scrivo come è giusto che si scriva, solo ,al buio. E non mi
interessa di essere andato via da una mandria di persone. Io ho altro a cui
pensare. Ho le mie forbici che non possono attendere oltre. Ho le mie parole
che sibilano nel buio. Ho me e questo basta. Possibile che non mi dispiaccia
essere praticamente fuggito dalla serata di ballo? Tutti si divertono col
ballo, ubriacandosi , strusciandosi , regalandosi sguardi. Io non c’entro niente.
Io non ho che le mie forbici. Io probabilmente sarò ucciso per quel che ho
fatto. Io sono solo perché nessuno può sapere la verità. Si è soli quando si è
riservati, amanti indissolubili e testardi della propria verità. Ma almeno sono
libero nella mia prigionia. Agonizzante sì, ma nel mio sangue. E io in quella
gente vedo sangue misto che mi terrorizza, una voglia di finire negli altri
fino a scuoiarli come se si sentisse il freddo dell’isolamento che dal di
dentro scalpita per evadere , ancora una volta , e ancora. Ecco perché le
forbici. Per difendermi da questo ricordo ingombrante del mondo. Per recidere
la stupida idea di essere così anche io. Io che ballo e sorrido, io che mi
spingo nella voragine di un seno prosperoso e ci nuoto dentro, io che affogo
nell’imbarazzo di un piacere a me proibito. Questa normalità è devastante. Il
sesso è bello , ma richiede il corpo. Ed io corpo non avrò più dopo questa
notte. Sapete cosa farò . Prenderò le forbici così vicine alla mia mano. Le
farò divaricare come cosce snelle e atletiche. Le innalzerò come una croce. Le
offrirò a un dio mio , un dio-puttana, da una botta e via, un dio che serve ora
e mai più. Un dio giuda, senza speranza , un dio offeso senza pudore, un dio
acrobata cadente, un dio mio, perché si muore invano senza dio. E nella solenne
attesa del sacrificio penserò a loro lì fuori, giustamente ignari che l’uomo
muore ancora. Ma come non dargli ragione: l’essere umano che muore è la cosa
più banale a questo mondo. La vita è misteriosa, non la morte. Nulla ne
sappiamo se non il nostro parere da viventi.
L’attesa cesserà per un finale ignoto ai miei stessi occhi. E fiotti
caldi di sangue sgorgheranno , zampilli come fontane di versaille, per la
rivoluzione tanto attesa dell’uomo triste in vita che infine riderà, senza
rancore, rendendosi la morte.
Io sono quell’uomo. Ma voi di un uomo così potete solo averne
ribrezzo, o magari riderne.
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